Lo stemma della Loggia, opera del Maestro Alfredo Di Prinzio, riproduce al suo interno alcuni tra gli strumenti più rilevanti in uso nel rituale dei gradi ismbolici della Gran Loggia Egizia d’Italia.
In particolare, le qualità artistiche del Maestro Di Prinzio sono riuscite a fondere in una sintesi mirabile la coppa e il caduceo, utilizzati nel corso dei lavori rituali in momenti diversi, ma entrambi essenziali per la costituzione dell’eggregoro di Loggia.
Dalla coppa, non casualmente, scaturisce una Fenice che risorge dalle proprie ceneri, e a completamento dell’emblema sono riportati la data di fondazione dell’Officina e talune lettere ebraiche, il cui significato il cercatore attento che ha approfondito le ragioni del nome dato alla Loggia, saprà intuire.
Infine, il motto della Loggia Aesh Mezareph n. 1 all’oriente di Roma: Agnosco veteris vestigia flammae, “riconosco i segni dell’antica fiamma”, ovvero sento ridestarsi il fuoco non sopito della passione. Il verso è contenuto nel quarto libro dell’Eneide (v. 23) di Virgilio e confessato dalla regina Didone, innamorata di Enea, alla sorella Anna: rivela il riaccendersi del fuoco d’amore simile a quello provato per il marito defunto.
Viene ripresa da Dante ALighieri, nel XXX canto del Purgatorio della Divina Commedia (v. 48), come ultimo omaggio alla sua guida Virgilio, quand’egli avverte la presenza di Beatrice avvolta da una nuvola di fiori, nel noto verso “…conosco i segni dell’antica fiamma” (Purgatorio, XXX, 46-48).
Nel nostro caso, riconoscere i segni dell’antica fiamma vuol dire riannodare i fili di una storia antica, che trae origine da quel Fuoco purificatore cui facciamo riferimento nel nome della Loggia, così come al Fuoco sacro della Conoscenza che arde nel cuore degli iniziati. Quel Fuoco che, come ci rammenta il Maestro Kremmerz, è lavacro e beatitudine, è AMORE.